Il Fuoco della Terra
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"Il Fuoco della Terra" è un capitolo di un progetto in corso a lungo termine sull'inquinamento ambientale, dedicato alla situazione della regione di Jharia, nello stato dello Jharkhand, in India. Qui, si trova una delle riserve di carbone più grandi del mondo e uno dei giacimenti di carbone più produttivi dell'India.
Nel sottosuolo di Jharia, da più di 100 anni, si verifica una combustione naturale che provoca la presenza di fuochi in superficie e la fuoriuscita di fumi tossici.
Vivere attorno a queste miniere è molto pericoloso: l'aria è densa di fumi e gas nocivi per la salute e il terreno è continuamente a rischio di collasso. Negli anni, molte persone hanno perso la vita o sono rimaste mutilate e, nella maggior parte dei casi, le abitazioni sono interessate da crepe così estese, da essere costantemente a rischio crollo.
Per allontanare gli abitanti da questo ambiente poco sicuro e per contrastare il commercio illegale di carbone (di cui vivono quasi tutti i cittadini della zona, rubandolo per rivenderlo nel mercato nero), dal 2006 il governo indiano ha avviato un piano di costruzione di nuovi alloggi in zone limitrofe (come nel caso di Belgaria), dove "ricollocare" gli abitanti di Jharia. Il rovescio della medaglia è che l'acquisizione dei terreni per i nuovi insediamenti si è spesso trasformato in un vero e proprio “Land Grabbing”, (acquisizione indebita di terra) a discapito dei proprietari originari dei terreni, ai quali non è mai stato dato adeguato indennizzo.
Stefano Schirato
Luciano D'Angelo
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NON DIMENTICARE SREBRENICA
11 luglio 1995. Sono passati ventanni dal genocidio di Srebrenica, quando migliaia di mussulmani bosniaci furono trucidati in una zona che si trovava al momento sotto la tutela delle Nazioni Unite. Un crimine umanitario che è indelebile nella coscienza collettiva, non solo degli europei.
Il progetto del fotoreporter pescarese Luciano D'Angelo fortemente voluto dalla Fondazione è rientrato nell’ambito delle iniziative promosse in occasione della visita a Pescara del Presidente della Camera On.le Laura Boldrini tenutasi il 13 luglio 2015.
La mostra, con più di quaranta scatti, ha ripercorso i luoghi e riportato le testimonianze dei sopravvissuti di quel terribile evento.
Chernobyl 25
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CHERNOBYL 25
Il 26 aprile 1986 il reattore nucleare di Chernobyl in Ucraina esplose, liberando una grande nube di materiale radioattivo in atmosfera che si diffuse in gran parte della Russia occidentale, Europa e Scandinavia: il peggior incidente nucleare della storia ed uno degli unici due classificati come un evento di livello 7 sulla scala internazionale degli eventi nucleari (l'incidente del marzo 2011 accaduto a Fukushima è il secondo).
Solo dopo che i livelli di radiazione disattivarono gli allarmi alla centrale nucleare di Forsmark in Svezia, ad oltre un migliaio di Km da Chernobyl, l'Unione Sovietica fu costretta ad ammettere che un incidente si era verificato. Circa 336.000 persone sono state evacuate dalla zona adiacente la centrale, e anche oggi, dopo 25 anni, rimane in vigore una zona di esclusione di 30 km (19 miglia). Secondo la BBC quasi 2.000 casi di cancro alla tiroide sono stati provocati dall'esplosione del reattore.
Avevo 12 anni.
Qualche giorno dopo quel 26 aprile stavo giocando a pallone in un cortile insieme ad un compagno di scuola, quando improvvisamente iniziò a piovere. Tanto.
Cominciai a correre fortissimo, senza salutare nessuno, per raggiungere velocemente casa mia ed essere così al riparo. Mia madre mi aveva raccontato di quello che era successo tanto distante da noi, che una nube pericolosa stava arrivando sopra l'Italia e che la pioggia poteva essere radioattiva. Non capivo bene cosa significasse il termine "radioattiva", ma sicuramente quelle gocce di pioggia non erano pulite. Quella cosa è rimasta come un fotogramma fissato per sempre nella mia vita, tanto che anche adesso non riesco a comprendere bene quanto mi abbia condizionato inconsapevolmente nello scegliere, dopo 25 anni, di affrontare questa tematica di Chernobyl, tornata insistentemente nelle cronache con la strage del Giappone.
Stefano Schirato
Radan, Inshallah. Domani, se Dio vuole
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RADAN, INSHALLAH. DOMANI, SE DIO VUOLE
"Radan, Inshallah”, che in arabo significa “domani,se dio vuole”, vuole essere un messaggio di speranza per il popolo Saharawi.
Il fotoreporter Stefano Schirato e Jenny Pacini, giornalista che ha curato la parte video del progetto, hanno raccontanto, attraverso i loro obiettivi, le storie e le testimonianze di uomini, donne e bambini Saharawi, con un focus particolare sui giovani, evidenziando la grande dignità con cui resistono pacificamente alle quotidiana persecuzione. Torture, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie e violenza gratuita scandiscono la storia del Sahara Occidentale, il territorio a sud del Marocco dallo status politico ancora indefinito.
Il Sahara Occidentale è il territorio dove il popolo Saharawi vive da secoli. Questa zona, ricca di fosfati e coste pescose, è da sempre stata oggetto di mire espansionistiche, a cominciare dalla Spagna con la colonizzazione del 1884. Nel 1975, il Marocco ha illegalmente occupato il Sahara Occidentale con la “Marcia Verde” di 300.000 civili marocchini, seguita da bombardamenti al napalm e fosforo bianco. Metà della popolazione Saharawi è stata costretta a fuggire nei campi profughi nell’ostile deserto algerino -dove ormai vive “ospite” da 39 anni-, mentre il resto vive ancora nella propria terra natìa, sotto la brutale occupazione del Marocco, in quella che si può definire l’ultima colonia africana. La vasta area del Sahara Occidentale “occupata” è divisa da quella “liberata” dai Saharawi, attraverso il muro militare più lungo al mondo, costruito in più fasi dal Marocco: 2.700 km di sabbia, 150.000 militari marocchini e 5 milioni di mine antiuomo.
(dal sito www.domanisediovuole.it)
Laura Angeloni
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BACKSTAGE DOCU-FICTION "LA PALESTRA"
L'esigenza di indagare sulle periferie e sulla diversità che causa in molte di esse la separazione invalicabile tra le comunità dei Rom e quella dei dei non Rom (i cosìdetti Gagè), ha portato il regista Francesco Calandra a condurre un laboratorio cinematografico in uno dei quartieri più discussi di Pescara, dove le due comunità vivono insieme da sempre, attente però ad evitare qualsiasi rapporto.
A dispetto di una letteratura che presenta questi quartieri come vivai di violenza ed illegalità, il film mostra quanta Bellezza si possa ancora trovare nell'autenticità dei rapporti insturati tra i ragazzi che li abitano. Le foto, scattate da Laura Angeloni nel back stage delle riprese della docu-fiction intitolata "La Palestra", ne sono la nitida testimonianza.
Immagina un quartiere di periferia di una città costruito a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta: treni di palazzi popolari che corrono paralleli, cemento su cemento, separati dalla città-bene dal muro della ferrovia. Immagina che questo quartiere sia stato costruito per accogliere/raccogliere la gente che non si addice alle sfavillanti vie del centro: extra-comunitari di ogni epoca, rom, poveracci e poco di buono. E come sia diventato dopo quarant’anni di incuria da parte delle amministrazioni di ogni orientamento politico.
E adesso immagina un posto, dove la gente si saluta ancora per strada e dove i rom, che non abitano nelle roulotte, ma nelle case, svolgono un’azione sociale, di recupero dei ragazzi dalla strada.
Mi dirai: «È un altro posto».
Ti dirò: «È lo stesso».
Siamo nella periferia sud della città di Pescara, nei quartieri di San Donato e Villa del Fuoco. È qui che si svolge la nostra storia.
Dal sito ufficiale del film
http://www.lapalestrafilm.com/






